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Tutte le auto vendute negli ultimi 5 anni hanno sfruttato il lavoro degli schiavi cinesi

La realizzazione di un’auto non è limitata al luogo in cui viene prodotta. Le auto che vengono costruite in Italia non sono mai 100% made in Italy. Basti pensare, per esempio, che le materie prime che possono provenire da centinaia di diversi fornitori sparsi per tutto il mondo. Purtroppo, a causa della vastità e della scarsa chiarezza sulla catena di approvvigionamento, talvolta alcune parti di automobili possono provenire da fonti tutt’altro che etiche.

Il New York Times, grazie a un gruppo di esperti di diritti umani, ha fatto luce in particolare su ciò che arriva dalla regione cinese dello Xinjiang, dove il lavoro in schiavitù produce componenti destinati alle case automobilistiche che vediamo tutti i giorni sulle nostre strade. Il rapporto citato dal New York Times è stato condotto dal gruppo della Sheffield Hallam Univeristy, guidato da Laura T. Murphy, professoressa di schiavitù contemporanea e diritti umani.

Cosa succede nello Xinjiang?

Il governo cinese ha commesso gravi violazioni dei diritti umani nella regione dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina. Qui vive in prevalenza una popolazione appartenente a una minoranza musulmana uigura, insieme ad altri gruppi etnici minoritari. Le violazioni ai diritti umani registrati in questa zona riguardano non solo il lavoro forzato, ma anche il genocidio culturale, più di un milione di persone nei campi di internamento, la tortura, la sorveglianza, le sterilizzazioni, gli aborti forzati e gli abusi sessuali. Queste violazioni dei diritti umani sono state dettagliate in un rapporto delle Nazioni Unite.

La professoressa Murphy e gli altri ricercatori hanno analizzato i collegamenti delle aziende cinesi che operano nella regione dello Xinjiang e le case automobilistiche mondiali che utilizzano le loro forniture. Tra queste ci sono metalli, ruote, cablaggi, elettronica, fusioni di motori e batterie, ma anche le materie prime per realizzarli. Il risultato dell’analisi è sconfortante: il lavoro degli schiavi ha giocato un ruolo in tutti veicoli venduti negli ultimi cinque anni: “Non c’è stata nessuna parte dell’auto che non fosse contaminata dal lavoro forzato uiguro”, ha spiegato Laura T. Murphy. “È un problema per il settore. Se hai comprato un’auto negli ultimi 5 anni, alcune delle sue parti sono state probabilmente fabbricate da uiguri e altri costretti a lavorare in Cina”.

Lo studio e il NYT descrivono le azioni di 200 grandi aziende cinesi collegate a questioni riguardanti i diritti umani, cioè che hanno partecipato a programmi di lavoro forzato nello Xinjiang o hanno acquistato materiali provenienti dalla regione. Tali aziende hanno un ruolo significativo nella catena di fornitura globale di componenti per auto. Si rivolgono a queste aziende tutti i più grandi brand automobilistici del mondo ed è per questo che il lavoro degli schiavi è quasi certamente connesso a qualche componente di tutte le auto attualmente in commercio.

Cosa fare?

Negli USA è stato approvato Uyghur Forced Labor Prevention Act che vieta di importare negli Stati Uniti i beni realizzati con il lavoro forzato nella regione uigura dello Xinjiang. Anche il Parlamento Europeo nel giugno scorso ha approvato un decreto non vincolante che vieta l’importazione di prodotti frutto degli schiavi uiguri, invitando Commissione Europea e stati membri a approntare una legge definitiva a riguardo.

Tuttavia, la complessità e la vastità della catena di fornitura globale del settore automobilistico fanno sì che la questione non sia facilmente risolvibile in tempi rapidi. A maggior ragione a causa della poca limpidezza da parte della Cina, che impedisce di stabilire se prodotti e materiali provengano dallo Xinjiang o da altre parti del Paese.